Pat Foreste Demaniali

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La storia del cervo Marco

Il grande e sfortunato Cervo capostipite di un'intera popolazione che è riuscita a riconquistare i boschi che coprono le incantevoli vallate del Trentino orientale

Questa suggestiva vicenda trova spazio nella “Storia dei cervi di Paneveggio”, una breve ricostruzione dei momenti iniziali del noto recinto dei cervi di Paneveggio tracciata dall’allora Amministratore pro-tempore delle Foreste Demaniali di Cavalese, dottor Donato Nardin.

“Durante l’inverno 1955-56 una giovane cerva, evidentemente sbandata dal gruppo e in difficoltà  per la neve, fu ricoverata da un contadino dell’alta Vai di Sole, foraggiata e custodita durante tutta la stagione nella sua stalla. La sezione di Trento della Federazione Italiana della Caccia, attraverso il proprio presidente signor Falzolgher, mi chiese se l’animale avrebbe potuto essere custodito a Paneveggio in un apposito recinto. Accettai di buon grado l’offerta e nella primavera del ‘56 feci innalzare un recinto di circa 1,5 ha nel bosco sopra la Casa cantoniera; in esso fu ospitata la cerva che venne subito battezzata con il nome di Selva.
Successivamente mi attivai per trovare un maschio alfine di sfruttare l’occasione per moltiplicare la specie. Nell’autunno dello stesso anno, o forse nella primavera successiva, si riuscì ad ottenere un maschio e una femmina di cervo, contro alcuni caprioli, dalla birreria di Pedavena che, proprio a Pedavena, aveva un piccolo zoo. Questi due furono chiamati Marco e Vecia.
Venne così costituito il primo nucleo dei cervi di Paneveggio. L ‘anno successivo (1958) nacque il primo cerbiatto della Vecia e nel ‘59 tutte e due le cerve partorirono regolarmente. Nel 1963, quando il gruppo aveva già raggiunto la dozzina di capi, si verificò un fatto inaspettato. All’epoca degli amori un maschio selvatico capitato casualmente in zona ed evidentemente attirato dalle femmine del recinto, lottando nottetempo con il Marco attraverso la rete del recinto stesso, aprì un varco dal quale tutto il gruppo se ne andò. Lo strappo fu riparato e successivamente si riuscì anche a ricatturare il Marco con le vecchie femmine ed i loro piccoli. Rimasero comunque in libertà e non furono più ripresi gli altri 7-8 capi. E’ da questo gruppo, probabilmente incrementato con altri arrivi dall’esterno, che ha avuto origine la popolazione che ha colonizzato l’alta valle del Travignolo e che è poi passata anche nel Primiero.
Nei giorni successivi l’inconveniente della lotta notturna tra i due maschi attraverso la rete si ripeté più volte. Però il Marco, il giorno successivo, tornava sempre spontaneamente e sconsolatamente al recinto, evidentemente respinto dal Cervo sopravvenuto, ormai diventato il leader del gruppo (io stesso vidi quest’ultimo passare nei prati di Paneveggio spingendo il gruppo delle femmine e dei piccoli come un cane pastore). Trascorso il periodo degli amori, la Selva, la Vecia e i loro piccoli tornarono al recinto.
Nella primavera successiva il Marco, danneggiando continuamente il recinto, manifestò il desiderio di andarsene e allora fu lasciato nuovamente libero. Durante l’estate del ‘64 rimase sempre nelle vicinanze dell’abitato, dimostrando di non temere assolutamente l’uomo. Si faceva fotografare, accettava cibo dalle mani ecc., ma ogni tanto dava segni di nervosismo: più d’una volta ribaltò a cornate persone che gli si erano avvicinate troppo, prendendosela a volte anche con gli automezzi di chi sostava per osservarlo. Così successe con l’autocorriera di linea che, come usava ormai da tempo, si era fermata per far ammirare ai passeggeri quel raro esemplare in libertà.
La musica però cambiò quando arrivò l’epoca degli amori ed un giorno, evidentemente respinto ancora una volta dal capo branco, se la prese, come impazzito, con l’uomo. Era la mattina del 4 ottobre 1964 quando il Marco si presentò infuriato ad un gruppo di boscaioli che stavano lavorando e, non riuscendo ad assalirli perchè si riparavano dietro agli alberi, scaricò la sua furia prendendo a cornate tronchi e rami a terra. Nel tardo pomeriggio assalì un operaio che stava tranquillamente facendo legna, costringendolo a porsi in salvo in extremis su di un albero. Alle sue grida di aiuto accorsero altri operai che, con bastoni e urla, riuscirono ad allontanare il Cervo soccorrendo il malcapitato. E’ da notare che l’operaio assalito era quello che per anni era stato addetto al foraggiamento dei cervi e che quindi era sicuramente conosciuto dall’animale.
Poco dopo, mentre nell’abitazione del maresciallo comandante la Stazione, il personale della Stazione forestale e il guardacaccia stavano commentando l’accaduto con l’operaio assalito rincuorandolo a grappini, altre grida di aiuto giunsero dai prati sottostanti. Tutti corsero verso il luogo dei richiami facendo luce con una torcia perchè ormai era calata la notte. La scena che si presentò loro era veramente tragica: il Cervo, per nulla impaurito dalla loro presenza e dai loro tentativi di allontanarlo, continuava ad incornare il corpo ormai svenuto di un’altra persona. Si trattava dell’elettricista che, appena finito di cenare alla mensa, stava tornando con il figlio verso la centrale, dove occupava un piccolo appartamento. Non potendo fare altro, il Marco venne immediatamente abbattuto dal guardacaccia, mentre il ferito dovette essere ricoverato in ospedale dove fu trattenuto parecchi giorni prima di rimettersi. E così scomparve il capostipite dei cervi di Paneveggio.”